"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

- G.W. Leibniz


"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

martedì 29 marzo 2016

Gianandrea Gavazzeni, le avanguardie e noi


Qualche settimana fa ricordavo come alcuni musicisti/intellettuali non di primissimo piano, ma molto attivi nei decenni centrali del Novecento, come Gianandrea Gavazzeni, siano forse ingiustamente caduti nell’oblìo, e trascurato il valore del loro operato culturale e della loro riflessione estetica.
Oggi leggo un suo breve saggio del 1966 (nel libro “Non eseguire Beethoven, e altri scritti”) nel quale, occupandosi delle opere di Ildebrando Pizzetti, coglie l’occasione per esprimere perplessità circa la temperie culturale del Dopoguerra e l’egemonia del pensiero “d’avanguardia”. Ne estraggo alcuni passi:
“L’ultimo dopoguerra pone problemi inquieti, difficili e contradditori. Il processo é ancora in atto e non varrebbe ripercorrerne oggi l’istruttoria. La revoca in dubbio  cominciò allora, e investì i maggiori musicisti  compresi nella “generazione dell’80”. Perfino colui che pareva incombustibile, Stravinsky, venne drammaticamente implicato nella polemica adorniana.
I moduli sociologici vollero sostituirsi ai parametri estetici, portando avanti idee e metodi già cari al positivismo passato. Proprio l’estetica dei valori fu data per morta; involgendo ogni rapporto tradizionale dentro l’agonia della cultura borghese. Mentre ancor oggi, dopo vent’anni  da quelle saghe, non é stabilito con qualche garanzia sicura se codesta agonia sia davvero una realtà –estetica e sociale– o non piuttosto un luogo retorico  comodamente maneggevole.
Non sembra poi, dopo un ventennio, che la tentata cancellazione della “generazione dell’80” abbia dato  la stura a tali  capolavori e a tali  sorprese di  linguaggio, di poetiche, da giustificare l’avventatezza e rapidità del procedimento giudiziario (.....) Quanto alla “ nuova musica” o “neoavanguardia”, la partita é  troppo aperta... senza tralasciare l’ipotesi che musica, pseudomusica, come categoria utilitaria, o commestibile, sia del tutto inutile e nient’affatto necessaria all’uomo civilizzato contemporaneo.. Leggo in questi  giorni  la raccolta di un critico d’arte e poeta di colta finezza (....) Alessandro Parronchi- Pregiudizi e libertà dell’arte moderna; il suo rapporto sulla pittura recente, sui vizi e le volontarie distruzioni, offre esatto parallelismo  alla situazione musicale, con la coraggiosa difesa di un mondo falsamente dato  tutto  per morto, ancora attivo in una realtà della vita spirituale odierna e delle sue necessità. (....) La possibilità che il nostro singolo giudizio sia errato dà il continuo  movimento alla vita musicale del nostro spirito. Proprio  la revoca in dubbio  costituisce uno stimolo  operativo  incessante. Soltanto  l’odierno irrazionalismo non ha dubbi che certi  montaggi  rumoristici appartengano  all’assoluto del valore artistico o della liceità sociologica.”


Fin qui, la pungente sortita di un Gavazzeni garbato polemista che rivendica il diritto al pensiero e al giudizio autonomo contro l’egemonia del “modernismo”. I passi sono troppo brevi per dedurne un pensiero articolato, ma la sua posizione  interlocutoria emerge chiara; e ancora più chiara sarà per chi  volesse leggere tutti i suoi  scritti, nei quali  si occupa spesso di autori quali Boito, Catalani, Pizzetti, e molti altri oggi quasi caduti nell’oblìo. 
Queste poche righe di Gavazzeni mi hanno fatto pensare che noi abbiamo  un problema: in particolare i musicisti nati all’incirca nel ventennio 1950-1970 sono cresciuti in un clima culturale pieno di fermenti e di novità: la “riscoperta” di Mahler, Bruckner e della Seconda scuola di Vienna, l’emergere delle ricerche filologiche sulla musica antica. Ma sopratutto, la presenza  egemone del pensiero “progressista” (all’epoca non si chiamava ancora così) che tracciava da un lato nella musica strumentale una linea diretta Beethoven-Mahler-Schoenberg-Webern per arrivare senza soluzione di continuità a Stockhausen- Boulez- Nono- Berio & c., saltando tutto quello che c’era in mezzo (tranne Stravinskij, oggetto però sovente di giudizi oscillanti e dubitosi) e considerandolo fenomeno marginale, attardato, storicamente irrilevante; e dall’altro in quella del teatro musicale Verdi-Puccini-Berg-ancora Stockhausen-Nono & c.
Ovviamente, questa linea culturale ha una sua legittimità: ma non era l’unica possibile, nè l’unica esistente.
Più passa il tempo, più si fa evidente la lacuna della quale siamo vittime tutti, in particolare le generazioni 1950-1970: aver tagliato fuori dalla storia della musica del Novecento – italiano, in particolare- un buon numero di autori che hanno avuto un innegabile valore autonomo, pur non rispondendo ai canoni estetici prevalenti, e la cui rivisitazione e frequentazione (non dico rivalutazione, perché il giudizio non può che essere personale) oggi potrebbe utilmente aiutare a ricostruire il passaggio che manca tra le ultime propaggini del romanticismo e quella galassia variegata e instabile che viene collettivamente denominata “musica contemporanea”, intendendo con ciò la musica colta della seconda metà del Novecento nel nostro paese.
E’ ora di dare retta a Gavazzeni, uscire dal prisma interpretativo obbligato nel quale siamo cresciuti, e allargare il nostro sguardo attento a un patrimonio  di musiche italiane immeritatamente marginalizzate, forse non generose di capolavori indimenticabili ma imprescindibile per completare, pur con le debite luci e ombre, l’autoritratto di una nazione, e cogliere anche la ragione per la quale ancora oggi (r)esiste, a dispetto del mainstream istituzionale, un folta schiera di compositori che si riallaccia a linguaggi, estetiche, stili anteriori e/o alternativi a quello dell’ avanguardia “istituzionale”.



Nessun commento:

Posta un commento