Se dovessimo
riassumere in una parola l’impressione principale avuta all’ascolto del
concerto di Repertorio Zero, senza temere di cadere nella retorica, si potrebbe
usare – senza alcuna ironia – la parola Coraggio. Repertorio Zero é
un gruppo di compositori, informatici musicali, strumentisti, nato
principalmente intorno a un’idea semplice quanto rischiosa, e forse utopistica:
inventare una nuova liuteria, cioé nuovi strumenti musicali, “acustici” o
assistiti dal medium informatico,
adeguati allo stato dell’arte della ricerca musicale contemporanea; e insieme
inventare il repertorio per valorizzarli.
Dunque una ipotesi
coraggiosa e visionaria, Ai confini della
terra fertile per dirla con Boulez, sullo sviluppo futuro della musica, che
evidentemente gli animatori di Repertorio Zero prevedono destinata ad arricchirsi di tutte le risorse
fornite dall’ informatica applicata a strumenti vecchi e nuovi; siano essi gli
strumenti tradizionali ripensati, riutilizzati in modi inediti; siano essi
oggetti di comune impiego quotidiano tra i più impensabili per l’impiego
musicale (frullatori, giocattoli, radioline, trombette, campanelli,
sveglie,ogni sorta di oggetti sonori) ma i cui suoni risultano
fertili e interessanti da utilizzare in un lavoro compositivo complesso. Nel contesto attuale
della musica contemporanea, dove la
spinta propulsiva delle avanguardie del
secolo scorso si é indebolita e stenta a proporre nuove ipotesi estetiche
convincenti al suo pubblico, disperdendosi in una poliforme galassia di
neo-accademismi, trovarobato, suggestioni modaiole, Repertorio Zero persegue la
sua ricerca con grande radicalità e rigore, e si caratterizza ormai come punta
avanzata e laboratorio-modello imprescindibile per tutti coloro che si occupano
di ricerca “pura” sul linguaggio musicale contemporaneo – e forse futuro, chissà;
oltre che nell’altissima qualità delle esecuzioni strumentali, che si avvalgono
di un gruppo di musicisti già ben noti e affermati individualmente, e
completamente dediti alla missione di rendere
il miglior servizio possibile ai compositori.
Il concerto
conclusivo del Festival 2014 di Milano Musica, quest’anno dedicato alla figura
del compositore Fausto Romitelli, del quale immaginiamo i lettori conoscano
almeno per sommi capi la vicenda artistica e umana, e sulla figura del quale
dunque non ci dilungheremo, comprendeva l’esecuzione del ben noto trittico per
ensemble amplificato Professor Bad Trip
I, II, III, alternato a due nuove opere di Giovanni Verrando e Riccardo
Nova, compositori milanesi che hanno condiviso con lo stesso Romitelli gli
esordi delle loro carriere musicali, e che per questo motivo hanno ricevuto dal
Festival la richiesta di comporre nuovi lavori, “ispirandosi” o comunque
ricollegandosi al lascito artistico del compositore goriziano/milanese.
Eviteremo di
addentrarci nei dettagli compositivi delle singole opere, estremamente
interessanti da più punti di vista: ma sarebbe inutile scriverne qui, non
essendo questa una normale “recensione”, e nessuna descrizione potendo
sostituire l’ascolto diretto. Ci limiteremo quindi a proporre qualche
riflessione di ordine più generale che la serata ha suscitato in chi scrive.
SOUND
Innanzitutto
impressionava l’impatto puramente fonico del concerto: sappiamo che l’amplificazione
dell’ensemble strumentale a (relativamente) alto volume é strutturalmente
consustanziale all’estetica romitelliana, che fonde la lezione del pensiero
compositivo della scuola spettrale francese
degli anni Settanta con la potenza fonica, l’impurità e la visceralità del sound del Rock e del Pop: e non a caso
tra gli strumenti dell’ensemble vi sono chitarra e basso elettrici e
sintetizzatore, a fianco dei consueti archi, fiati, pianoforte, percussioni
eccetera.
Il suono amplificato
– ma forse a questo punto dovrei chiamarlo sound
– che si é ascoltato era di grande ricchezza e potenza, al quale gli
ascoltatori della musica contemporanea
tradizionale (mi si passi l’ossimoro) non sono abituati. E già questo é un
elemento di immediata evidenza, che contraddistingue i concerti di Repertorio Zero. La complessità delle opere eseguite,
nelle quali sono integrati strumenti acustici, “elettrici”, informatici, esige
certamente una amplificazione molto raffinata per bilanciare e fondere insieme
le diverse fonti sonore fino a costituire un unico sound, al tempo stesso dettagliato, ricco e potente.
Ma non c’é solo un
motivo meramente acustico, tecnico, perché l’amplificazione sia così potente e
invasiva: c’é una precisa scelta estetica, coerente con il linguaggio scelto,
che (consapevolmente o meno) emula anche, come già detto, l’impatto sonoro dei
concerti rock. Ci sarebbe da chiedersi se non vi sia una qualche involontaria
contraddizione tra la sostanza strutturalmente complessa delle composizioni
presentate, che esigerebbero un ascolto concentrato e vigile, e la ipertrofica,
fusionale “veste sonora” con la quale sono presentate: che invece sembra
invitare a un ascolto più viscerale, abbandonato, irrazionale, sul modello
appunto del linguaggio rock/pop.
Infatti la
visceralità magmatica, tellurica di almeno quattro delle cinque composizioni
eseguite, le ondate di materia incandescente che scaturiscono dall’amplificazione,
mi hanno fatto pensare all’espressionismo violento dello Schoenberg prima
maniera. Nelle sue opere “liberamente atonali” intorno agli anni Dieci egli
dichiarava di comporre seguendo esclusivamente le proprie emozioni ed
intuizioni, senza altra disciplina particolare, affidandosi alla guida di
quello che in quegli stessi anni il dottor Freud
definiva l’Inconscio. Anche lui,
Schoenberg, componeva in quel periodo incubi sonori, visioni allucinatorie,
stati di coscienza alterati, fissità raggelanti, colate di magma rovente: penso
in particolare ai pezzi più “potenti” dell’op.16, dove la grande orchestra
diventa amplificatore, ad altissimo volume, dell’ UrSchrei espressionista.
Ho pensato che il
pendolo della storia oscilla perennemente, e così, dopo l’indigestione
razionalistico/cartesiana del serialismo Leibniziano e dopo il “pensiero debole” del postmodernismo,
si direbbe che i nipotini di Darmstadt
– lo dico qui affettuosamente, con un sorriso scherzoso ai compositori della
serata – volgano nuovamente lo sguardo all’irrazionale, mediato in parte
anche attraverso il filtro più connaturato alla nostra generazione: la musica
rock, con tutto il suo contesto psichico/antropologico/rituale.
Ma con in più,
forse, anche un certo barocchismo, un gusto dell'abbellimento, della ghirlanda a
festone floreale, del dettaglio nascosto, sapientemente cesellato, che solo un
attento ermeneuta può scoprire nell’intrico della giungla amazzonica sonora, e
trarne la sua brava soddisfazione di ascoltatore strutturale. Questo gigantismo fonico, e la sua implicita,
inevitabile retorica magmatico- viscerale io l’ho insomma, per qualche perverso
labirinto del mio pensiero, associato istintivamente a quello delle enormi
compagini orchestrali post-romantiche dal suono super vitaminizzato, dalla
agitazione ipercinetica e dalla timbrica saturata: come anche al medesimo tipo
di gigantismo rock degli anni Settanta, con i suoi distorsori e i
suoi “muri” di amplificatori Marshall. Con una battuta spiritosa viene da dire
che i musicisti di Repertorio Zero siano in un certo senso dei wagneriani
inconsapevoli, che pur esibendo un programma estetico dai connotati fortemente
tecnologico/intellettuali amino anche loro, come tutti e fortunatamente,
lasciarsi travolgere dalla lunghissima onda oceanica dell’ Höhepunkt nel Preludio di Tristan..Ma non é tutto.
DRAMMATURGIA
Il concerto assume
una nuova forma rituale anche nel suo
stesso svolgersi scenico, drammaturgico. All’inizio, a luci basse, un “drone”
(un continuum sonoro computerizzato
tratto dalla parte elettronica finale di uno dei Professor Bad Trip) crea un ambiente emozionale vagamente
science-fiction, e su questo sfondo i musicisti entrano in scena e prendono
posto: al salire delle luci parte la prima esecuzione strumentale, al termine
della quale torna il “drone” che sonorizza “emozionalmente” la preparazione dei
musicisti per l’esecuzione del pezzo successivo, e così via fino alla
conclusione del concerto, che fila in tal modo senza interruzioni, inibendo
ogni applauso: che può scatenarsi, scrosciante e liberatorio, solo alla fine dell’intera performance.
È degno di nota
anche un particolare dettaglio scenografico: le sedie sulle quale stanno
gli strumentisti sono curiosamente
legate a coppie di funi pendenti dall’alto, e la scena assomiglia così, con
ironia forse involontaria, a un bizzarro teatro di marionette. Si tratta
insomma complessivamente di una studiata drammaturgia, intesa ad evitare la
ritualità del concerto tradizionale, e a favorire uno stato di ininterrotta
fascinazione, analogo a quello indotto da sostanze psicotrope. Anche qui, mi si
permetta con una innocente battuta di osservare che il fantasma del Gesamtkunstwerk e dei Pink Floyd (?)
sembra aleggiare nella sala.
AUTONOMIA
E ancora non é
tutto: bisogna far cenno a un ulteriore elemento essenziale dell’interpretazione,
e cioé ancora una volta al grande coraggio esibito dai musicisti di Repertorio
Zero nell’eseguire tutto il
concerto senza l’ausilio di un direttore d’orchestra.
Pur consistendo il
programma di brani dall’organico numeroso e dalle difficoltà esecutive
rilevanti, che richiederebbero una figura di coordinamento, é stata fatta la
scelta di eseguirlo guidati, per quanto riguarda il mero sincronismo dell’assieme,
esclusivamente dal click che ogni
strumentista riceve via radio nel proprio auricolare. Al di là della
oggettiva maggiore difficoltà pratica, e il notevole numero di prove
necessarie, la rinuncia alla figura del direttore appare significativa da più
punti di vista.
Innanzitutto, ancora
una volta pare alludere alla prassi dei concerti rock/pop, nei quali non si é
mai vista la presenza di un direttore d’orchestra: salvo rare eccezioni, quali
ad esempio Frank Zappa, il quale talvolta si improvvisava direttore per le sue
composizioni più complesse.
In secondo luogo,
vale come segno palese, sopratutto nella sua evidenza scenica e teatrale, della
volontà di essere autonomi e non affidare il taglio interpretativo alla
mediazione di un direttore che potrebbe essere più un ostacolo che un aiuto, o
non risultare del tutto conforme al pensiero estetico di Repertorio Zero, che si candida legittimamente ad
essere il depositario della “interpretazione autentica” dell’estetica
romitelliana, e intende evidentemente fissare un punto di riferimento
imprescindibile per altri che vi si vogliano cimentare da ora in poi. Una sorta
di filologismo contemporaneo,
insomma.
In terzo luogo
appare, ed é effettivamente, una grande esibizione di virtuosismo strumentale,
che si aggiunge agli altri elementi scenico/rituali
del concerto, e che il pubblico non può non apprezzare.
Va considerato
inoltre un ultimo elemento “ teatrale” e scenico non marginale: la presenza di un direttore in mezzo
alla scena inevitabilmente avrebbe ostacolato la visione di alcuni dei
musicisti da parte del pubblico, e con le sue inevitabili coreografie avrebbe
impedito allo stesso di focalizzare l’attenzione visiva esclusivamente sugli
strumentisti e sul loro suonare: il che sembra essere il centro del messaggio
visivo di Repertorio Zero.
ALIENAZIONE?
Infine, una
riflessione sorge alla mente, nell’assistere a una esecuzione live nella quale ogni singolo
strumentista é legato al proprio click,
concentrato su se stesso, con la sua cuffia in testa e davanti al proprio
monitor audio.
La domanda é: questo
è "suonare insieme"? Non lo è più certamente nel senso
tradizionale della parola: appare piuttosto una cosa simile all’ overdubbing che si pratica in sala d'incisione. Ogni strumentista
esegue la sua parte non più "insieme" agli altri ma piuttosto
"sopra" gli altri, anche se in contemporanea.
La questione pare
presentare degli aspetti problematici perfino a livello filosofico: si potrebbe in questo caso
parlare di alienazione del musicista
che, collegato al suo click, é allo
stesso tempo presente ma anche assente dalla effettiva condivisione in
tempo reale dell’ interpretazione?
Quanto controllo ha
il singolo strumentista non soltanto sul suono globale dell’ensemble, che viene
ovviamente forgiato e bilanciato in ultima analisi dal tecnico seduto dietro il mixer al centro della sala
(in pratica, il vero direttore dell’esecuzione), ma anche sul come il proprio
suono personale venga integrato
e/o distinto da quello
degli altri?
Come si vede,
applicare a un ensemble strumentale proveniente dalla tradizione “accademica”
(fatti salvi chitarra e basso elettrico) le tecniche di amplificazione, monitoring, overdubbing normalmente
applicate in altri campi implica delle problematiche degne di approfondimento.
Ma é lontano mille
miglia dal mio pensiero ogni scetticismo, ogni pregiudizio nei confronti della
tecnologia in generale, e tanto meno su quella applicata alla musica, e sono
certo che col tempo e con l’abitudine a queste diverse modalità esecutive, i
problemi tecnici e quelli interpretativi troveranno un loro equilibrio
ottimale.
IL PENDOLO DELLA
STORIA
Come abbiamo
cercato di spiegare in questo
resoconto, la sostanza intellettuale della ricerca di Repertorio Zero é rigorosa e di alto livello: e
anche se la veste esteriore della performance
sembra suggerire una estetica della percezione quasi allucinatoria, che rimanda
a stagioni più underground, la
concreta realizzazione del concerto – che esige risorse tecnologiche ed
economiche notevoli – si prende cura con grande attenzione di ogni singolo
aspetto, da quello esecutivo a quello sonoro a quello drammaturgico.
Siamo quindi di
fronte a un progetto di grande interesse, che potrebbe svolgere un ruolo
positivo nello sviluppo futuro di quella che una volta si chiamava la musica d’avanguardia. In un tempo nel
quale si dà per scontata la fine delle avanguardie e molti si affollano
nella corsa a improbabili contaminazioni
più o meno riuscite, viene da pensare che mai come oggi scegliere la strada
dell'avanguardia, se lo si fa con questo coraggio e rigore, sia ancora e sempre
la cosa giusta da fare. Il pendolo della Storia e delle mode oscilla continuamente, e forse, dopo un lungo periodo, sta per approdare nuovamente sul lato della ricerca musicale?
(Articolo presente anche su Il Corriere Musicale)
http://www.ilcorrieremusicale.it/2014/11/17/repertoriozero/
http://www.ilcorrieremusicale.it/2014/11/17/repertoriozero/
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